GASLIGHTING GEOPOLITICO: ALLA DISPERATA RICERCA DI UN CASUS BELLI

DALL'AEREO DI VON DER LEYEN AI DRONI IN SCANDINAVIA

“Iniziò con l’immaginare cose, sentì rumori, passi, voci, e poi le voci iniziarono a parlarle”, così il marito manipolatore di Gaslight, il celebre film del 1944, descriveva la sua strategia di inganno. Oggi il termine indica una tecnica comunicativa che nega o distorce la realtà per confondere l’opinione pubblica e far apparire colpevole chi non lo è. Lo stesso filo rosso attraversa i recenti episodi politici: dall’aereo della Presidente della Commissione Europea ai droni in Scandinavia, dai velivoli intercettati vicino all'Alaska ai droni abbattuti in Polonia. Una strategia bellica subdola in cui l’Occidente alterna allarmi e rassicurazioni, accese minacce e caute smentite, in un gioco comunicativo che non mira tanto a descrivere i fatti in modo logico ed obiettivo quanto a forgiare e indirizzare la percezione della massa. In altre parole, non è importante ciò che accade realmente, ma ciò che l’opinione pubblica deve credere stia accadendo. Ed è anche così che i cittadini vengono indotti ad accettare, senza troppe ritrosie, l’aumento della spesa pubblica per la difesa.


L’AEREO

Prendiamo il caso dell’aereo di Ursula von der Leyen. Il 31 agosto 2025 l’aereo che la portava da Varsavia a Plovdiv divenne il centro di un caso politico e mediatico internazionale. In base a quanto hanno dichiarato a Bruxelles, tra l’altro con diversi proclami minacciosi, i piloti segnalarono problemi con il segnale GPS e furono costretti a richiedere un approccio alternativo basato su sistemi radar terrestri. Trapelò subito l’ipotesi che si trattasse di un episodio di “interferenza deliberata” e diversi media internazionali rilanciarono la notizia evocando un attacco di guerra elettronica di matrice russa. 

Eppure, i dati raccolti da Flightradar24 raccontano un’altra storia. Secondo la piattaforma di monitoraggio dei voli, l’aereo partì da Varsavia alle 12:37 UTC, iniziò la discesa per Plovdiv alle 13:45 UTC e atterrò alle 14:32 UTC, con un ritardo minimo e senza deviazioni anomale. I parametri tecnici trasmessi dal transponder ADS-B, in particolare la Navigation Integrity Category (NIC) e la Navigation Accuracy Category for position (NACp), non mostrarono alcuna variazione sospetta: il segnale GPS risultò stabile per tutta la durata del viaggio. In condizioni di jamming massivo si sarebbero dovuti osservare cali di precisione o interruzioni, ma nulla di ciò è stato registrato (1). 

Anche le autorità bulgare, da subito caute, sottolinearono che le apparecchiature a terra, basate su sistemi indipendenti come ILS e VOR, non avevano registrato interferenze e che l’atterraggio si era svolto in piena sicurezza. Il primo ministro Rosen Zhelyazkov ordinò ulteriori verifiche, ma riconobbe che i registri di bordo non offrivano prove definitive di un’azione ostile (2). Quello che nella migliore delle ipotesi poteva sembrare un guasto circoscritto è stato dunque amplificato come segnale di una minaccia imminente, salvo poi essere ridimensionato da smentite e chiarimenti che non hanno mai avuto la stessa eco mediatica delle accuse iniziali. 

Tuttora molti cittadini europei appartenenti a fasce di popolazione meno scolarizzate sono convinti che la responsabilità sia russa. A distanza di quasi un mese, alcuni telegiornali continuano ad accostare il caso dell’aereo di von der Leyen a quello dei droni in Scandinavia, facendo intendere che il 31 agosto si fosse trattato di un attacco di Mosca. Dal momento che la smentita tecnica è ampiamente documentata, diventa difficile interpretare questa scelta editoriale come una semplice svista giornalistica, e non come una strategia comunicativa dettata dall’alto.

In questo contesto, merita attenzione il ruolo di Flightradar24, la piattaforma che con i suoi dati ha contribuito a smentire l’ipotesi di un’aggressione russa. Si tratta di una realtà indipendente svedese, i cui fondatori detengono la maggioranza delle azioni e il pieno controllo operativo. Nel settembre 2025, però, una quota del 35% è stata acquisita dalla società di private equity londinese Sprints Capital. Sarà interessante osservare se, in futuro, questa variazione societaria inciderà sui rapporti della piattaforma coi governi e le agenzie occidentali. Resta il fatto che, pur mantenendo la sua autonomia, in passato Flightradar24 ha accettato di limitare la visibilità di alcuni dati sensibili (voli militari statunitensi), mostrando così una certa malleabilità a collaborare con le autorità.

Ed è proprio qui che si apre uno scenario interessante. Se già in passato, almeno su alcune questioni, gli svedesi hanno collaborato, è plausibile che anche in questo caso gli Stati Uniti abbiano esercitato una pressione – formale o informale – affinché i vertici della società chiarissero pubblicamente la reale dinamica del volo. Ma perché Washington avrebbe scelto questa linea? Una possibile interpretazione è che vi sia la volontà, almeno da parte di Trump, di sganciarsi dalle velleità interventistiche di von der Leyen – vicina per motivi familiari e professionali a Scotland Yard e alla NATO – e di abbassare i toni nella gestione internazionale dei conflitti, anche a costo di irritare gli apparati di intelligence più aggressivi. Ma ovviamente siamo pur sempre nel campo delle speculazioni e nulla, per quanto sia logicamente verosimile, è certo. Tanto più che la stessa strategia politica di Trump è stata spesso segnata da mosse apparentemente contraddittorie, con avanzate e ritirate, proprio come il passo del gambero. 


LA POLONIA

Se l’episodio dell’aereo di von der Leyen aveva acceso i riflettori sulle ambiguità della percezione, tra allarmi mediatici e smentite tecniche, l’incursione in Polonia non ha fatto che rafforzare quell’impressione, riportando in primo piano la stessa logica di incertezza e manipolazione della realtà. La notte tra il 9 e il 10 settembre 2025 decine di droni hanno violato lo spazio aereo polacco. Varsavia ha parlato immediatamente di “provocazione deliberata” e ha abbattuto diversi velivoli, con il governo che ha invocato consultazioni NATO e promesso una rapida modernizzazione delle forze armate. Ma, anche qui, i contorni restano incerti e sfumati: non è chiaro se si sia trattato di un attacco pianificato, di una missione di sondaggio delle difese o di una manovra politica studiata per provocare una reazione. In Italia diversi analisti e accademici, come Vittorio Emanuele Parsi, hanno ipotizzato una volontà russa di sondare le difese europee, ma non va dimenticato che si tratta – quasi sempre – di figure organiche all’universo atlantista, talvolta legate alla riserva selezionata della NATO o comunque inserite in circuiti vicini agli apparati occidentali. Parsi, per esempio, anche se gli studi televisivi omettono di dirlo, non è solo un professore universitario, ma anche un ufficiale della riserva selezionata della Marina Militare, un capitano di fregata (4) (5). È difficile credere che figure che fanno parte dell'organigramma atlantista possano esprimersi in piena autonomia e con assoluta libertà di giudizio.

Comunque sia, tra le ricostruzioni circolate nei giorni successivi, ne è emersa una particolarmente inquietante e per certi versi coerente con la logica del “forging delle percezioni”: l’ipotesi che quei droni non fossero stati lanciati direttamente dalla Russia, ma fossero velivoli russi precipitati in Ucraina e recuperati quasi integri, riparati dagli ucraini, e poi fatti volare verso il confine polacco (6) (7). In aggiunta, alcune ricostruzioni indicano che uno degli oggetti abbattuti a Wyryki-Wola non fosse un drone russo, ma un missile polacco difettoso lanciato durante le operazioni di difesa aerea (8). Un dettaglio grottesco, che aggiunge anche preoccupazione sulle reali capacità difensive dell’Europa.

Per quanti sostengono questa chiave di lettura, questa false flag avrebbe un doppio effetto: da un lato fornirebbe prove materiali sufficientemente convincenti da sostenere la tesi di un’aggressione esterna, e in questo senso le immagini del tetto divelto aiutano a creare pathos nella popolazione impressionabile; dall’altro, spingerebbe i governi alleati a sostenere aumenti di spesa per la difesa che altrimenti sarebbero difficili da giustificare, soprattutto nell’attuale Occidente, contraddistinto da frizioni sociali, disoccupazione e stagnazione industriale. 

Si tratta di un’ipotesi che va trattata con cautela: è plausibile dal punto di vista tecnico e tattico, ma richiede una prova diretta per essere considerata più di una suggestione strategica. In ogni caso, la sua semplice circolazione è di per sé rivelatrice: mostra come, in uno scenario di crescente polarizzazione, anche ordigni e rottami diventino strumenti narrativi capaci di orientare decisioni politiche, mobilitare risorse e consolidare frame di minaccia. E questo è esattamente il terreno su cui si gioca il gaslighting geopolitico.

Tra l’altro, nei giorni immediatamente successivi all’incursione dei droni in Polonia, alcuni governi europei (soprattutto la Polonia) hanno iniziato a discutere pubblicamente la possibilità di istituire una no-fly zone lungo i confini orientali della NATO. Varsavia ha sollevato il tema in sede NATO, sottolineando la necessità di prevenire future violazioni e proteggere lo spazio aereo dei paesi membri, mentre Berlino e altri Stati hanno chiesto un approfondimento sulla fattibilità operativa e legale di una misura del genere. L’idea è stata accompagnata da comunicati ufficiali che parlavano di “garantire sicurezza e deterrenza” e da dichiarazioni politiche entusiastiche, che evocavano scenari di protezione rafforzata contro possibili aggressioni. Sul piano pratico e operativo, però, imporre una no-fly zone non è affatto semplice. Richiede capacità di intercettazione permanente, sorveglianza radar avanzata e, soprattutto, la disponibilità a neutralizzare qualsiasi difesa aerea ostile. L’esperienza della Libia nel 2011 mostra come, anche con un mandato internazionale, una no-fly zone si traduca rapidamente in operazioni militari offensive, con tutti gli inevitabili rischi di escalation. Il rischio, in questo caso, sarebbe l’inizio della Terza Guerra Mondiale.


I DRONI SULL'EUROPA SETTENTRIONALE 

Nel settembre 2025, i cieli della Scandinavia (e, in misura minore, della Germania, della Finlandia e della Lituania) sono stati teatro di numerosi avvistamenti di droni non identificati. Gli oggetti sono stati osservati in prossimità di infrastrutture strategiche, civili e militari, tra cui la base di Aalborg in Danimarca, gli aeroporti di Esbjerg e Sønderborg, e la Flyvestation Skrydstrup, la base principale dei jet danesi F-16 e F-35. Il 22 settembre, l’aeroporto di Copenhagen ha dovuto sospendere i voli per diverse ore, con significative conseguenze economiche. Le autorità locali hanno parlato inizialmente di minacce di origine russa, e i media internazionali hanno rilanciato il tema della “nuova guerra ibrida”, generando allarme pubblico e richieste di rafforzamento della cooperazione militare.

Tuttavia, le evidenze concrete sono scarse e diversi rapporti ufficiali restano secretati. A tutt’oggi disponiamo soltanto di poche foto o di brevi video che non chiariscono la natura degli avvistamenti. Perfino identificare la tipologia di droni è difficile. Le descrizioni degli oggetti variano: alcuni testimoni parlano di semplici droni commerciali (e negli stessi giorni sono stati arrestati due turisti di Singapore), altri di velivoli militari sofisticati. Le autorità scandinave, in più di un’occasione, riguardo all’ipotesi di un coinvolgimento russo, hanno dovuto ammettere la mancanza di prove concrete. La dinamica ricorda da vicino quanto accaduto in passato, con una transizione rapida dalla semplice osservazione tecnica a una narrazione politico-mediatica amplificata, trasformando sospetti e indizi in cristalline certezze. 

Eppure, se l’ipotesi russa resta possibile, allo stesso tempo, non è meno probabile l’ipotesi che gli avvistamenti scandinavi rappresentino l’applicazione su scala transatlantica di tattiche già sperimentate un anno fa nel New Jersey: una trasposizione geografica di uno stesso modello operativo, adattato ai litorali nord-europei. In effetti, entrambe le aree hanno molte installazioni critiche distribuite lungo coste relativamente basse e accessibili. Ed entrambe consentono di testare droni su distanze brevi e medie, con possibilità di transizioni tra mare e terra e condizioni meteo variabili. L’unica differenza sta proprio nella mancanza di immagini chiare. È possibile che dopo aver testato in Patria questa operazione, gli statunitensi si siano resi conto del pericolo di diffondere immagini e video particolareggiati, e abbiano adottato in Scandinavia una strategia più cauta, lasciando trapelare pochissime testimonianze visive, del tutto inutilizzabili dall’intelligence cino-russa. Così facendo, ognuno è libero di pensare che abbiano trovato droni Gerbera, ma la verità è che non lo sappiamo. 

Ma quali sarebbero i rischi operativi che fanno dubitare di una operazione russa su larga scala? Appare ovvio che inviare droni dalla Russia fino in Germania o Scandinavia sia impossibile, dal momento che sarebbero intercettati subito. Il viaggio è troppo lungo. Quindi, negli scorsi giorni, molte testate hanno ipotizzato il coinvolgimento della nave Alexander Shabalin, che aveva i trasponder spenti (9), o delle navi Astrol-1, Oslo Carrier-3 e della petroliera Pushpa (10).

Effettivamente, i droni possono essere lanciati facilmente da navi mercantili o pescherecci modificati. Non richiedono catapulte né spazi enormi: basta un ponte libero. Tuttavia, hanno un’autonomia limitata (decine di km), quindi servirebbero navi molto vicine alle coste europee, ed è rischioso perché verrebbero subito individuati dai radar o dai sistemi di sorveglianza marittima. Droni militari a lungo raggio, come l’Orlan-10 o lo Shahed-136, per essere lanciati da una nave o un sottomarino, necessitano di container o catapulte dedicate. La Russia dispone di “container launchers” ma il loro uso nel mare del Nord o nel Baltico sarebbe un suicidio strategico, dal momento che le navi militari NATO pattugliano costantemente quell’area. 

Lanciare droni dai sottomarini è più sicuro, ma è più difficile da un punto di vista ingegneristico. Richiede capsule stagne compatibili con i tubi lanciasiluri, meccanismi di apertura affidabili e droni con ali ripiegabili, oltre a un collegamento satellitare o relay via radio che aumentano la rilevabilità. Ad oggi, per quanto ne sappiamo, Mosca non ha ancora raggiunto questa tecnologia, anche se ci sta lavorando.

C’è poi un dettaglio che non può essere tralasciato, ed è forse il più importante. Se parliamo di molti droni che volano contemporaneamente in più Stati, servirebbero diverse piattaforme navali posizionate in aree diverse e nelle stesse ore. Questo è logisticamente complicato: significherebbe una presenza navale estesa e facilmente rilevabile. Dopo un paio di giorni, gli europei capirebbero, ed ogni nave, peschereccio o sottomarino russo verrebbe spiato, monitorato e seguito a debita distanza. A questo proposito, è utile ricordare che il fenomeno droni/UAP in Nord Europa dura da quasi un mese (11). Francamente riesce difficile credere che gli Stati europei non si siano coordinati e non abbiano scambiato informazioni riservate. Se questo pericolo fosse stato reale e attribuibile con un buon margine di sicurezza alla Russia, non avremmo avuto gli ultimi eclatanti casi segnalati in Danimarca.

Resta l’ipotesi che i russi abbiano usato agenti infiltrati sul territorio, ma sarebbe una scelta estremamente rischiosa per il Cremlino: in pochi minuti potrebbero compromettere anni di raccolta informativa e asset umani. Le spie russe solitamente conducono una vita normalissima e puntano alla raccolta d’informazioni con modalità convenzionali, minimizzando il rischio di esposizione. Un’azione così eclatante sarebbe una novità. Il relitto del drone ritrovato a Luitemaa, nella riserva naturale estone sul mare (12), appare quasi funzionale a rafforzare l’immagine di un lancio da navi, più che di un’operazione di cellule dormienti.

Dunque, anche in questo avvenimento, c'è molto “gaslighting”: elementi fattuali, esagerazioni e falsità viaggiano di pari passo e sono così inestricabilmente legati da delineare un quadro sempre più confuso e machiavellico. Allo stesso tempo, anche nel blocco orientale circolano inquietanti supposizioni, seppur a un livello minore. Sui social, ad esempio, qualcuno ha ipotizzato che queste operazioni siano la fase prodromica di un attacco occidentale a Kaliningrad (13). Ovviamente, si tratta di una speculazione non verificata, riportata su canali non ufficiali, e va letta con cautela, senza attribuirle più importanza del dovuto. Al tempo stesso mostra bene quanto un conflitto nel Nord Europa sia percepito come un’eventualità concreta.

E di fronte a questa crescente preoccupazione, gli Stati europei iniziano a muoversi di conseguenza. La Germania, ad esempio, ha annunciato la creazione di un nuovo Centro per la Difesa contro i Droni, destinato a coordinare le competenze tra governo centrale e regionale (14). Parallelamente, è in fase di revisione la legge sulla sicurezza aerea per permettere l’intervento delle forze armate, inclusa la possibilità di abbattere droni per proteggere le infrastrutture critiche.

A livello europeo, l’UE e la NATO stanno accelerando l’implementazione di un “muro anti-drone” lungo il fianco orientale, attraverso il progetto Eastern Flank Watch, che prevede una rete di sensori avanzati per il rilevamento, il tracciamento e l’intercettazione dei droni (15). Il commissario alla Difesa dell’UE, Andrius Kubilius, ha sottolineato l’urgenza di questa iniziativa, mentre la NATO ha annunciato il dispiegamento imminente di nuovi sistemi anti-drone. Questa combinazione di misure mostra come la percezione di minaccia, anche se alimentata da speculazioni e narrazioni contrastanti, stia già producendo effetti concreti sulle politiche di difesa in Europa. Probabilmente, senza gli avvenimenti dell’ultimo mese, non saremmo arrivati a questo punto.





FONTI:

1- https://www.flightradar24.com/blog/aviation-explainer-series/ursula-von-der-leyen-gps-jamming/

2- https://www.ilpost.it/2025/09/04/bulgaria-aereo-von-der-leyen-senza-prove/

3- Fin dalla giovinezza, Ursula von der Leyen è stata immersa nel mondo transatlantico: figlia di un dirigente delle istituzioni europee e con una nonna americana, trascorse gli anni di studio alla London School of Economics sotto protezione di Scotland Yard, adottando l’identità fittizia di “Rose Ladson” in seguito a minacce della RAF. La sua carriera, da Ministra della Difesa della Germania a Presidente della Commissione Europea, l’ha poi portata a intrecciare rapporti istituzionali con la NATO e think tank transatlantici, consolidando un profilo chiaramente atlantista.

4- https://www.la7.it/omnibus/video/droni-russi-in-polonia-il-prof-parsi-ci-sono-motivazioni-per-averlo-fatto-deliberatamente-12-09-2025-610093

5- https://cattolicanews.it/parsi-capitano-su-nave-bergamini

6- https://disa.org/russian-disinformation-campaign-promotes-false-narrative-regarding-drone-incursion-into-poland/

7- https://it.insideover.com/guerra/droni-abbattuti-in-polonia-lipotesi-dellesperto-bryen-coinvolge-kiev.html

8- https://meduza.io/en/news/2025/09/17/malfunctioning-missile-fired-from-f-16-fell-on-polish-house-during-russian-drone-incursion-polish-media-report

9- https://www.open.online/2025/09/26/danimarca-nave-russa-droni-avvistati-aeroporti-transponder-spento/

10- https://www.france24.com/en/europe/20250926-denmark-drone-incursions-all-signs-point-to-russia-suspect-ships

11- https://www.euronews.com/2025/09/10/russian-spy-drones-over-germany-turn-into-an-even-greater-threat

12- https://militarnyi.com/en/news/fragment-of-unidentified-drone-discovered-on-the-coast-of-the-gulf-of-riga-in-estonia/

13- https://x.com/Islamic593554/status/1972275486551314529

14- https://news.liga.net/en/politics/news/germany-wants-to-create-a-center-for-defense-against-drones

15- https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2025/09/26/ue-nato-formano-il-drone-wall-zelensky-vuole-i-tomahawk_0f034238-1d52-4b88-b1a9-73256990d91a.html






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